mercoledì 5 dicembre 2012

LA (MENO) PEGGIO COMUNICAZIONE

Per qualche giorno, pur avendo chiare idee in merito, sono stato alquanto titubante sull'opportunità di commentare o analizzare le campagne messe in atto dai leader del centrosinistra italiano in occasione delle primarie. Un po' perchè temevo di essere parziale (anche le pietre sanno da che parte sto). Un po' perchè erano già state ampiamente vivisezionate da tutti. Con toni più o meno forti, soprattutto nel confronto insostenibile con l'Obama Style. Alla fine è prevalsa la passione dell'"operaio della comunicazione" e quindi ecco l'ennesima analisi. Anche stimolata dal sempre acuto Curzio Maltese, che dalle pagine di Repubblica parla di "Sconfitta dei Comunicatori". E mi trova solo parzialmente d'accordo. Maltese dichiara che "dopo un ventennio di berlusconismo il risultato delle primarie del Pd sembra dire che la telepolitica in Italia è morta e i social network non l’hanno ancora sostituita". Non è così vero. La telepolitica, non è affatto morta. Certo, ci siamo lasciati alle spalle una certa propaganda "forzuta" e condotta "porta a porta", dove al dibattito era sostituita la telepromozione (su un milione di posti di lavoro, sul presidente operaio, sul ponte sullo stretto e così via). Quella nuova forse deve ancora trovare una sua strada, che sicuramente non è quella di X-Factor, ma che, nel riportare in vita un certo tipo di confronto diretto e non necessariamente con il coltello fra i denti, ha già segnato una svolta. E per quanto riguarda i social network non sono stati così laterali. Hanno dato una continuità al dibattito, lo hanno ampliato e circostanziato. E se non hanno sostituito il mezzo televisivo (ma non credo sia questo il loro ruolo) di certo lo hanno condizionato. Sarebbe infatti stato assolutamente insensato che il dibattito catodico non tenesse conto degli umori e delle opinioni così chiaramente manifestate a suon di post e cinguettii. Peraltro, in Italia, ad essere ascoltati non è che siamo così tanto abituati. Sempre secondo Maltese poi ha stravinto il candidato che ha comunicato peggio. E come provocazione posso anche apprezzarla. Ma diamo un significato al "peggio". Se il peggio infatti è una comunicazione che rinuncia al "make-up", alle seduzioni forzate e ai ridondanti coup de théatre per lasciare spazio all'autenticità genuina e alla "sostanza", le primarie hanno sicuramente inaugurato l'era della "peggio comunicazione". Ma non perchè Bersani sia la "negazione del comunicatore". Partiamo infatti dal sano e vecchio principio che la comunicazione, nel suo essere specchio della realtà, non è nè buona nè cattiva ma va semplicemente valutata col metro della coerenza. Sotto questo profilo, Bersani, nella sua rinuncia alla gigioneria e con quell'aria di essere "tirato in mezzo suo malgrado" è stato pienamente coerente con se stesso. E quindi credibile. Sarà anche "peggio comunicazione" ma, nell'era di Facebook funziona, premia e questo basta per ribaltarne la valenza. Ma adesso prendiamoci qualche minuto per analizzare la "meglio comunicazione". Quella di Matteo Renzi. Non nascondiamoci dietro a un dito. Il fatto di essere giovane, con un volto da boy-scout e dotato di una verve toscana doc gli da sicuramente una rendita di posizione. E questa se la porta a casa indipendentemente dal risultato elettorale. Ma nel suo caso mi trovo completamente d'accordo con Maltese e in disaccordo con il suo titolista (che evidentemente l'articolo l'ha letto male). In primo luogo perchè Renzi ha sbagliato la sua Unique Selling Proposition. Porsi come l'uomo di sinistra che piace alla destra e che pur di piacere alla destra dimentica di essere un uomo di sinistra arrivando a proporne la rottamazione ha posto un interrogativo e non da poco sulla sua reale identità. In secondo luogo l'errore più clamoroso è stato quello di darsi una Unique Selling Proposition. In un momento in cui l'obiettivo non era di porre una differenza rispetto agli avversari che, rappresentando la sua stessa comunità di riferimento, proprio così avversari non sono. Al contrario l'obiettivo vero doveva essere rendersi maggiormente rappresentativo di quella stessa comunità. Usando un po' meno il piccone e un po' più la forza delle idee e, perchè no, di un retaggio culturale tutt'altro che da rottamare. Usando un po' meno e un po' meglio i testimonial. Da Jovanotti a Lele Mora passando per Marcello Dell'Utri e addirittura (quasi) Silvio Berlusconi. Che è un po' come se la comunità ebraica scegliesse di farsi rappresentare da Forza Nuova. Ma il "peccato originale" di Matteo Renzi è stato affidare la sua campagna a Giorgio Gori. Non si tratta, come sparato a caratteri cubitali dal titolista di Repubblica, della "Sconfitta dei Comunicatori". Giorgio Gori, infatti non è un comunicatore. Da sempre fa un altro mestiere. Il produttore televisivo per la precisione. E su questa base ha lavorato con Renzi come con un concorrente del Grande Fratello. Giocando esclusivamente su una iper-esposizione da un tanto al chilo. Proprio nel momento in cui, vivaddio, la politica "un tanto al chilo e gnocca per tutti" sembra essersi finalmente e definitivamente avviata sul viale del tramonto. Quindi i comunicatori, che possono essersi macchiati di molte nefandezze in passato, almeno in questa occasione sono fuori gioco. A tal punto che, anche da comunicatore, non sono mai stato sfiorato dall'idea che una faccia paciosa e salottiera fosse sufficiente a presupporre un cambiamento che giustificasse la mia preferenza elettorale. Ma questa è un'altra storia...

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